Assunzioni con giudizio, Draghi argina i ministri

Quando alle sette di sera Mario Draghi dà il via alla cabina di regia a palazzo Chigi ha dietro di sé ore convulse. Ma un’idea irremovibile: il decreto per le assunzioni nella Pubblica amministrazione - il completamento della trilogia per il Recovery insieme alla governance e alle semplificazioni - deve essere approvato dal Consiglio dei ministri di venerdì. Non oltre. Quella del premier non è solo una convinzione: è anche, se non soprattutto, un richiamo alle forze di maggioranza. Potrebbe sembrare paradossale perché un decreto che sblocca decine di migliaia di assunzioni è per definizione un decreto che dà, non toglie, insomma un risultato che anche i partiti possono intestarsi nella stagione della pax draghiana. Più di un ministro politico, però, è andato oltre, chiedendo non solo un numero spropositato di assunzioni per il proprio dicastero, ma anche innesti che nulla hanno a che fare con il Recovery. Draghi ferma gli appetiti extra, sgonfia il decreto e lo blinda.
Il decreto messo a punto dal fidatissimo ministro per la Pa Renato Brunetta è pronto da giorni. Ma da giorni - e nelle ultime ore il pressing si è fatto ancora più forte - i ministri politici insistono per tenere il punto sulla propria quota di assunzioni. Ognuno rispedisce a un altro l’accusa di volere incassare di più, ma fonti di Governo di primissimo livello spiegano che le richieste arrivate alla Funzione pubblica e a palazzo Chigi “sono state corpose un po’ da parte di tutti, dal Pd, ma anche da LeU e dai 5 stelle, e non in linea con il Recovery”. I ministri tecnici - Colao, Cingolani e Giovannini - hanno indicato invece una quota contenuta, ma soprattutto coerente in termini di funzioni che i neoassunti dovranno andare a ricoprire.
A metà pomeriggio, quando il decreto è in balìa delle resistenze dei ministri politici, Brunetta incontra Dragh...
Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.