Legambiente, SOS sicurezza scuole: oltre 60% senza certificato agibilità
E per le scuole non c'è solo il problema sicurezza, visto che il 74% è senza mensa e il 56,7% senza trasporto per disabili
La diva francese torna a far parlare di sé e discutere dopo le dichiarazioni rilasciate al magazine "Oggi"
Dal professore anche un consiglio: credo che tutti noi dovremo portare la mascherina almeno fino al prossimo autunno
Il premier in difficoltà sui numeri non chiude a Italia viva, ma mette paletti
"Sono squartata, una mutilazione che mi ha segnata per sempre", ha rivelato Antonella Elia.
L'attrice e conduttrice è il volto della nuova collezione curvy ideata dai due stilisti italiani
Il cantante parla della storia d'amore con il compagno, di cui racconta nelle canzoni contenute nel suo nuovo disco
Gli aggiornamenti in tempo reale sull'emergenza coronavirus in Italia.
Crisi di governo: Renzi oggi a Riad per una conferenza, sarebbe tornato di fretta per le consultazioni.
La cantante ha rivelato di aver messo gli occhi su Rosalinda Cannavò, in arte Adua Del Vesco
AGI - La polizia di Stato di Novara sta eseguendo in queste ore arresti e perquisizioni personali e locali, a Novara e provincia, nei confronti di un'associazione a delinquere, a carattere transnazionale, dedita alla realizzazione di truffe aggravate nei confronti di persone anziane e vulnerabili. L'attività di indagine, condotta dai poliziotti della squadra mobile, ha accertato che il gruppo criminale, con sede logistica in Polonia e centrale operativa a Novara, si è reso responsabile di oltre 50 truffe nelle province di Novara, Vercelli, Como e in territorio elvetico. Le truffe venivano realizzate con il noto metodo del 'Caro nipote' simulando incidenti inesistenti o familiari in pericolo di vita per infezione da Covid-19. In pratica, il modus operandi attuato dall'associazione a delinquere, era di tipo seriale, ed agiva sulla vulnerabilità e sulla buona fede delle vittime. Gli anziani venivano contattati telefonicamente da soggetti che si fingevano loro prossimi parenti, finti figli o nipoti che, con la scusa di aver causato un grave incidente stradale o di essere in imminente pericolo di vita dopo aver contratto il covid, convincevano il malcapitato di turno ad aiutarli e, dunque, a raccogliere tutto il denaro e gli oggetti preziosi presenti in casa: solo in questo modo, infatti, avrebbero così evitato al loro caro di essere tratto in arresto da fantomatiche Forze di Polizia o avrebbero potuto pagargli le cure e salvargli la vita. Successivamente all'opera di convincimento da parte del “telefonista” in danno della ignara vittima, veniva inviato un complice che si spacciava per il “segretario di un notaio” o per il “personale sanitario” e ritirava il bottino costituito da denaro o da oggetti in oro. Spesso nemmeno i sospetti di qualche vittima hanno impedito il compimento del reato: nel momento in cui la parte offesa dubitava di quanto le veniva comunicato e cercava di contattare un parente o le forze dell'ordine per comprendere se fossero reali i fatti appresi, otteneva una risposta sempre da parte di un componente del gruppo criminale. I truffatori contattavano le vittime sul telefono fisso dell'abitazione e non interrompevano la loro prima comunicazione tenendo, di fatto, la linea occupata anche per delle ore. In questo modo, qualora le ignare vittime avessero provato, utilizzando la medesima utenza fissa invece di un cellulare, a contattare le forze dell'ordine o comunque a comporre altri numeri per chiedere aiuto, “dall'altra parte del filo” vi erano sempre dei componenti del gruppo criminale che li rassicuravano, convincendoli a consegnare tutto ciò che era in loro possesso al fine di scongiurare conseguenze peggiori per i loro familiari. L'attività investigativa ha avuto inizio nel mese di marzo 2020 quando una donna ultraottantenne, vittima già in passato di un analogo reato, ha ricevuto una telefonata dal finto “nipote” che, dopo aver causato un sinistro stradale con feriti, le comunicava di trovarsi dal notaio perché doveva immediatamente risarcire il danno, altrimenti sarebbe stato arrestato. La donna, memore di quanto già occorso in precedenza, aveva finto di credere a quanto le stava accadendo e nel contempo aveva chiamato il 112. L'immediato intervento degli investigatori aveva consentito di procedere all'arresto in flagranza del giovane presentatosi per ritirare il bottino e di dare così il via alle indagini. Queste ultime, condotte mediante pedinamenti, appostamenti e complesse attività di intercettazione, rese difficoltose dal fatto che i “telefonisti” operavano dall'estero, hanno permesso di ricostruire la struttura del gruppo criminale ed individuare la responsabilità del medesimo in ordine ad una cinquantina di episodi avvenuti, dal gennaio all'agosto 2020, nelle province di Novara, Vercelli, Como e in territorio elvetico. La stretta collaborazione tra il personale della Sezione Reati contro il Patrimonio della Squadra Mobile di Novara e la Polizia Giudiziaria del Canton Ticino ha inoltre consentito di aggiungere preziosi tasselli all'attività investigativa già in corso, permettendo di identificare anche i responsabili di fatti commessi all'estero, facendo così emergere la consumazione di condotte di reato transnazionali. I referenti dell'organizzazione sono stati individuati in cittadini rom di etnia polacca, sedenti in questo capoluogo da decenni, che agivano in base a precise direttive che giungevano dalla base logistica estera e si avvalevano della collaborazione, come “incaricati al ritiro”, di ragazzi residenti nel capoluogo o di donne facenti parte del loro clan familiare. Contestualmente all'esecuzione delle misure sono state effettuate numerose perquisizioni personali e domiciliari, che hanno consentito il rinvenimento ed il sequestro di materiale ritenuto molto utile al prosieguo delle indagini. È stato stimato che il provento delle truffe portate a termine ammonta a circa 400.000 euro, tra denaro e gioielli; gli oggetti di valore, solitamente, venivano inviati in Polonia con lo scopo di riciclarli, monetizzarne il valore, e farne così perdere le tracce. Nel corso dell'attività d'indagine, e in particolar modo nel corso delle intercettazioni telefoniche, è emersa la cattiveria, la spietatezza e l'incredibile cinica determinazione dei telefonisti che effettuavano decine e decine di chiamate a ripetizione in danno delle vittime, finché non trovavano la persona che eseguiva pedissequamente quanto da loro richiesto. I criminali si sono rivelati totalmente insensibili al fatto che con le loro parole creavano nelle anziane vittime un profondo stato di terrore causato dalle minacce di ripercussioni che mettevano a rischio l'incolumità dei loro cari. Anzi, proprio grazie a ciò, con impressionante freddezza, facevano leva sulle vittime inducendole a privarsi dei loro averi che, oltre al certo valore economico, rappresentavano un forte valore affettivo in quanto ricordi di momenti belli o di persone non più in vita. L'avvento della pandemia, non solo non ha fermato le attività criminali dell'associazione a delinquere, ma ha fornito alla stessa un nuovo pretesto per incrementare i proventi delle truffe in quanto, oltre ad agevolarne le condotte, si è avvalsa dello stato di isolamento, e la conseguente vulnerabilità, in cui molte persone anziane si sono ritrovate. Per l'esecuzione delle misure cautelari, delle perquisizioni e dei sequestri sono stati impiegati oltre 60 agenti, con la partecipazione del personale delle Squadre Mobili di Torino, Alessandria, Asti, Aosta, Biella, Verbania e Vercelli, nonché di equipaggi del Reparto Prevenzione Crimine di Torino, che si ringraziano per la disponibilità dimostrata. La Polizia di Stato invita le persone vittime di questi reati nel richiedere sempre l'intervento delle Forze di Polizia: le numerose attività di polizia giudiziaria svolte nel corso degli anni, finalizzate alla repressione di questi vili reati, hanno fatto emergere un sommerso di situazioni analoghe che non venivano nemmeno denunciate. Infatti, spesso, queste tipologie di truffe, vengono tenute nascoste dalle parti offese che, oltre ad avere ingenti danni economici, si sentono vittime di sensi di colpa e manifestano impotenza e vergogna per le modalità con le quali sono state raggirate. A volte le circostanze vengono tenute nascoste anche ai famigliari stretti, proprio per un senso di vergogna e pudore.
AGI - Sono Friuli-Venezia Giulia, Veneto ed Emilia Romagna le tre regioni italiane inserite in zona rosso scuro per il rischio Covid stilata dall'Ecdc, il Centro europeo per il controllo e la prevenzione della malattie. E' quanto emerge dalla mappa aggiornata con la situazione epidemiologica basata sulle nuove indicazioni. Manca invece la provincia di Bolzano, la quarta area italiana che faceva parte dell'elenco raccomandato nei giorni scorsi dalla Commissione europea. L'obbligo di test e quarantena Per viaggiare in Europa dalle aree rosso scuro, anche per viaggi essenziali, ci si deve sottoporre a test e quarantena fino a 14 giorni. Il livello più alto di rischio è attribuito alle zone con più di 500 contagi su 100 mila abitanti negli ultimi 14 giorni. In teoria la norma non vale solo per chi viaggia in un altro Paese Ue ma anche per gli spostamenti sul territorio italiano da una regione “rosso scuro” a quelle di altra categoria. Le raccomandazioni europee sono tuttavia solo linee guida, ora al vaglio dei governi, e ogni governo dei Ventisette può decidere se e in che misure applicare. Le altre zone "deep red" Oltre alle regioni italiane dovrebbero diventare "deep red" anche la penisola iberica, ad eccezione del nord (dalla Galizia ai Paesi Baschi), alcune zone meridionali e centrali della Francia, l'intera Irlanda, parte della Germania, la Repubblica Ceca, alcune zone dell'Europa centro-orientale, i Baltici, parte della Svezia e Cipro. Restano arancioni la Finlandia, la Norvegia e la Grecia che ha anche una porzione ancora verde, con contagi ancora inferiori. L'Ue, oltre a sconsigliare fortemente i viaggi non essenziali all'interno dei singoli Paesi e tra i paesi Ue, ha introdotto limitazioni più stringenti per chi arriva dai confini esterni dell'Unione: test e quarantena per tutti, anche per chi ha i titoli di viaggio (come i residenti) per entrare in Europa nonostante le suo frontiere esterne siano chiuse da marzo.
Lettera aperta dello scrittore: "È ora di costruire una Nuova Italia"
AGI - Un'azione da ‘lupo solitario', ma pronto a fare un “salto di qualità” nel campo del terrorismo. E' così che i giudici dell'ottava sezione penale di Milano hanno definito il gesto di Mahamad Fathe, il 26enne yemenita che nel settembre 2019 aveva ferito con un paio di forbici un militare alla stazione Centrale di Milano. Il quadro è stato tracciato nelle motivazioni con cui i togati spiegano la condanna a 14 anni e sei mesi per tentato omicidio aggravato dalle finalità terroristiche e violenza a pubblico ufficiale pronunciata il 26 novembre scorso. "Nell'azione di Mahmad Fathe riecheggiano inevitabilmente tutte le principali sfaccettature del terrorismo contemporaneo, poiché la sua eclatante violenza si colloca in pieno all'interno del solco culturale ed operativo sopra descritto, tracciato dai 'lupi solitari' e rinsaldato dalle organizzazioni terroristiche internazionali, che a tale fenomeno hanno concesso il crisma dell'autenticità”, si legge nelle 22 pagine a firma della presidente Maria Luisa Balzarotti. Che, insieme ai collghi Nosenzo e Iannelli ha deciso di aggravare di tre mesi la pena, rispetto a quanto chiesto nel processo dal pm Enrico Pavone. Per i pm si era "inserito nel solco del terrorismo" "E proprio l'essersi inserito nel solco" del terrorismo "attraverso la plateale auto-denuncia di fondamentalismo religioso, con il 'grido di battaglia' Allah Akbar, conferisce all'agito di Mahmad Fathe la sua concreta specifica pericolosità, costituita dall'implicita chiamata alla reiterazione da parte di altri soggetti animati dagli stessi intenti", prosegue il collegio . In prospettiva un'azione del genere avrebbe potuto causare "un grave danno al Paese", per "riprendere le espressioni utilizzate dalla Suprema Corte”, visto che "la vocazione dell'imputato" era proprio "quella di innestarsi in una più ampia serie causale il cui motore può inviduarsi nell'emulazione di matrice religiosa". Benché Fathe non fosse inserito in "ambienti eversivi organizzati" la sua personalità risulta "quantomeno incline ad un salto di qualità" verso il terrorismo "con conseguente accentuato pericolo per l'ordine pubblico". Decade per i magistrati la versione difensiva, portata avanti dalle avvocatesse Paola Patruno e Nicola Saettone, che nel corso del processo, avevano contestato l'aggravante terroristica puntando a convincere la corte a riconoscere le attenuanti vista la condizione di "disadattamento" del giovane yemenita. Una circostanza che "non è incompatibile - scrivono i giudici - con la finalità di terrorismo. Anzi: “il fatto che l'imputato sia precario sul territorio italiano, privo di attività lavorativa e di stabile inserimento sociale, rende più possibile che lo stesso finisca per orbitare più o meno stabilmente in circuiti criminali”. Inoltre, le sue dichiarazioni nel processo sono state definite "contraddittorie e nebulose". "Ha mostrato una temerarietà fuori dal comune" "Il profilo dell'intimidazione diffusa è strettamente connesso al pericolo di 'grave danno' insito nella prassi operativa dei lupi solitari" che il 26enne, secondo la Corte, "aveva di fatto ha scelto di fare propria". "La spettacolare azione di Mahmad Fathe consistita nel 'pugnalare' al collo un militare impegnato in un presidio fisso, e quindi presumibilmente armato, rivela già di per sé una temerarietà fuori dal comune", continuano i togati. Che in un altro passaggio delle motivazioni sottolineano la "portata macro-intimidatoria" dell'azione, realizzata in una "piazza ad alta frequentazione", il che "restituisce alla popolazione la chiara percezione di una insicurezza generalizzata e di pericolo costante, ciò soprattutto in forza del plateale richiamo al terrorismo di matrice islamista". Già il pm Enrico Pavone, nella sua requisitoria aveva sottolineato come il punto in cui il 26enne colpì il militare, ovvero il collo, era un chiaro segnale della sua intenzione di uccidere, trattandosi di una "parte vitale del corpo umano". Ma i giudici vanno oltre: la singola violenza in questo caso "trascende la sua dimensione periferica" rievocando "una entità malevola più grande e ineffabile che di tanto in tanto, in modo cieco e imprevedibile, si manifesta e miete vittime".
AGI - La risposta del governo della Nuova Zelanda è stata la migliore nella gestione all'epidemia di coronavirus, ultimo in classifica quello del Brasile. Il governo italiano si pone nel mezzo, 59esimo e vicino a quello tedesco (55esimo), ben prima di quelli di Francia (73) e Spagna (78). A stilare la graduatoria è stato il Lowy Institute di Sydney, che ha preso in considerazione un centinaio di Paesi in tutto il mondo, analizzandoli alla luce di sei criteri tra cui il numero totale di casi e di morti per coronavirus, ma anche i tamponi eseguiti e la percentuale di positività. Covid-19 response. Countries' Covid-19 response rankings, evaluated by the Lowy Institute and based on the availability of data across six indicators#AFPGraphics pic.twitter.com/izgX9wpaZ2 — AFP News Agency (@AFP) January 28, 2021 In testa alla classifica, oltre alla Nuova Zelanda, ci sono Vietnam, Taiwan, Thailandia, Cipro, Rwanda, Islanda, Australia, Lettonia e Sri Lanka. All'altro capo della lista, i peggiori, come il Brasile, seguito da Messico, Colombia, Iran e Stati Uniti. Il think tank australiano non ha preso in considerazione la Cina perché mancano dati pubblici sui tamponi. "Insieme, gli indicatori mostrano quanto bene o male i Paesi hanno gestito la pandemia", ha riferito il Lowy Institute, sottolineando che "la maggior parte delle nazioni si sono superate a vicenda per prestazioni deludenti". "In generale, i Paesi con popolazioni più contenute, società coese e istituzioni capaci hanno un vantaggio comparativo nell'affrontare una crisi globale come una pandemia", ha riconosciuto il think tank. Finora, si sono registrati in tutto il mondo oltre 100 milioni di casi e circa 2,2 milioni di morti.
Il rischio non è solo quello che possano rendere meno efficaci i vaccini anti-Covid, ma anche gli anticorpi monoclonali
L'attrice e la ballerina si separano tre anni dopo il matrimonio, a due mesi dal coming out di Page come persona transessuale
Il giudizio dei pm di Termini Imerese sul fidanzato della 17enne trovata morta in un burrone a Caccamo
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AGI – Il farmaco REGEN-COV, il cocktail di anticorpi sviluppato dall'azienda farmaceutica statunitense Regeneron Pharmaceuticals, è efficace contro le varianti di SARS-CoV-2 identificate in Inghilterra e Sud Africa. Lo ribadisce un comunicato stampa del colosso americano Regeneron, dove si riporta uno studio pubblicato sul server di prestampa ad accesso aperto BioRxiv e condotto dall'Università della Columbia, i cui risultati mostrano l'efficacia del farmaco contro le varianti inglese e sudafricana. “REGEN-COV – riporta David Ho dell'Università della Columbia – si è rivelato in grado di neutralizzare le varianti circolanti di SARS-CoV-2 identificate per la prima volta nel Regno Unito e in Sud Africa”. I team hanno valutato in vitro la capacità del farmaco di neutralizzare i vari ceppi mutati del virus. “Il farmaco sviluppato da Regeneron – spiega il ricercatore – è composto dagli anticorpi neutralizzanti altamente potenti imdevimab e casirivimab, e ha mantenuto la capacità di combattere l'infezione in entrambi i ceppi mutati considerati”. Gli scienziati sottolineano che, come altri agenti patogeni, il SARS-CoV-2 continua a mutare, per cui è fondamentale poter contare su farmaci e soluzioni in grado di contrastare i ceppi emergenti. “Uno dei due anticorpi ha mostrato una potenza leggermente ridotta – osserva George D. Yancopoulos, presidente e direttore scientifico di Regeneron – ma l'altro ha continuato a mostrare una validità più che sufficiente, per cui il rischio che il cocktail perda efficacia si riduce significativamente, dal momento che il virus dovrebbe mutare in più posizioni distinte per eludere entrambi gli anticorpi”. Il direttore dell'azienda farmaceutica aggiunge che la ricerca futura potrà inoltre contare sulla presenza di centinaia diversi anticorpi, che potrebbero essere combinati in modo da realizzare una soluzione efficace contro le prossime varianti. “Stiamo valutando potenziali passi successivi con nuovi candidati – riporta Yancopoulos – ma per adesso siamo fiduciosi nei confronti di REGEN-COV, che si sta dimostrando un valido alleato contro la pandemia”.
AGI - La mancata pubblicazione di tutti i dati sui pazienti Covid da parte delle Regioni e dell'Istituto Superiore della Sanità rappresenta “un comportamento criminale nel pieno di una pandemia”. E' la considerazione resa all'AGI da Marco Cappato che arriva a diatriba in pieno corso tra la giunta lombarda e l'Iss sulle cifre che hanno determinato per errore la zona rossa nella regione più colpita dal contagio. "Da 10 mesi chiediamo la pubblicazione di tutti i dati" Il tesoriere dell'associazione ‘Luca Coscioni' si riferisce, in particolare, allo scambio contenuto in un documento interno alla Regione tra un funzionario dell'Istituto e un tecnico di Palazzo Lombardia in cui il primo afferma che “noi non pubblichiamo il dato delle comorbilità ma abbiamo pressioni enormi al riguardo da stampa, politica, presunti esperti...”. “Veniamo accusati senza nominarci – interpreta Cappato - da questa rivendicazione dell'Iss di avere resistito alle richieste di pubblicare i dati disaggregati che portiamo avanti da dieci mesi. Ed è molto offensivo perché, assieme a noi, ci sono i presidenti dell'Accademia dei Lincei e della Società di Statistica Italiana e alcuni scienziati di alto livello. Certo, è importante sapere come siano andate le cose anche per valutare un eventuale danno alle attività che sono rimaste indebitamente chiuse e, in questo senso, il fatto che la Lombardia abbia sbagliato mi sembra già un indicatore di responsabilità”. "Iss e Regioni vogliono tenere il controllo dei dati" Ma, al di là del conflitto, per Cappato “la cosa più significativa per il futuro dei cittadini è far sì che non si ripetano episodi così. Quello che non deve più accadere è che i dati siano oggetto di una contesa politica e, per evitarlo, l'unica soluzione è pubblicare i dati disaggregati che è quello che chiediamo da tempo in modo incessante e che Conte ci aveva promesso. Perché Iss e Regioni, che potrebbero farlo in autonomia, non procedono alla pubblicazione? L'unica spiegazione è che vogliano tenersi il controllo dei dati, non c'è una ragione di interesse pubblico”. Lo scontro Regione - Iss segna secondo il radicale un punto di svolta: “Se prima di questo episodio si poteva far finta che fossimo davanti a una questione tecnica e burocratica, ora vediamo che è una questione politica e riguarda il presidente del Consiglio e il ministro della Salute ancora in carica”. “Se non pubblicano i dati, Regioni e Iss si rendono complici di errori ripetuti nel tempo che diventano scelte sbagliate sulla base di dati non completi. Ciò significa nel pieno di una pandemia avere un comportamento criminale, in termini sia di decessi sia di danni economici”. Nei mesi scorsi l'associazione 'Coscioni' ha promosso la piattaforma online Covidleaks alla quale, ricorda Cappato, “chiunque può mandare in modo anonimo i dati disaggregati relativi a singoli decessi”.