Più ansiosi, meno liberi, più cattivi. Gli italiani nell'anno del Covid

Premessa. Mai come in questo anno eccezionale, la percezione della vita di tutti i giorni da parte degli italiani è fluida, incerta, a tratti contraddittoria. Perché le crisi - e ovviamente quella generata da Covid lo è - generano questioni, e quindi valutazioni, inedite. E le stesse crisi, a maggior ragione quando sono in corso, sono per loro natura divisive. Il 54esimo rapporto del Censis, la fotografia per eccellenza del Paese, dice questo. Siamo un Paese in cui il 57,8% sostiene che è meglio essere “sudditi che morti” e allo stesso tempo il Paese in cui il 41,6% ritiene che i virologi - la figura simbolo della tutela della salute durante una pandemia - hanno avuto troppo potere. Fine della premessa. Titoli delle due grandi questioni che dal rapporto emergono come stratificate. Il primo: siamo in preda alla “paura contagiosa”, divisi come non mai tra garantiti e scomparsi. Il secondo: la scollatura tra la strategia del Governo e la gravità dei problemi che sono esplosi fuori dal Palazzo.
La paura fa rinunciare ai diritti e alle libertà
La considerazione che fa da cornice al sentiment degli italiani è la stessa che il Governo si trova di fronte ogni qual volta deve varare un decreto con limitazioni e chiusure: quanto restringere il perimetro delle libertà e dei diritti per far prevalere le ragioni e la tutela della salute. Da questo punto di vista il rapporto registra una convergenza tra la visione dell’esecutivo e quello che pensano gli italiani, quantomeno la maggioranza alla luce della premessa fatta all’inizio. A muovere tutto sono la paura dell’ignoto e l’ansia: per il 73,4% sono queste, infatti, le sensazioni che prevalgono da quando è scoppiata la pandemia. E per mitigare queste sensazioni il 57,8% degli italiani è disposto a rinunciare a libertà come quella di muoversi fuori casa piuttosto che a quella delle persone da inc...
Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.